a cura di Elisabetta Beneforti
Cecilia Ferrara e Angela Gennaro, Perdersi in Europa senza famiglia , Altreconomia, 2023
" Un giorno i nostri figli e i nostri nipoti verranno a chiederci: dove eravate?" ..... Stare oggi sulla frontiera, raccontandone le dinamiche perverse, le illegalità e le discriminazioni, vuol dire stare nel cuore del nostro tempo e dei diritti."
Duccio Facchini, direttore di Altreconomia
" Il 'diciottesimo' è un giorno spartiacque: avere un tetto sulla testa o meno, rimanere agganciati a un'ombra di comunità o finire ingoiati dall'anonimato?
E' un giorno dalla carica emotiva significativamente inespressa. Non condivisa con gli educatori, spesso vissuti come meri accompagnatori o orientatori (se non peggio), non con i familiari che vengono santificati dalla lontananza e che continuano a influire pesantemente sulle scelte di questi giovani uomini. E nemmeno tra di loro, perché vorrebbe dire mostrare un lato debole, sensibile, quindi inaccettabile."
Isabella Mancini, presidente di Nosotras Onlus
Pioggia Obliqua: Partiamo parlando del progetto Lost in Europe, di cui fate parte da alcuni anni e che sta alla base del vostro libro inchiesta….
Cecilia Ferrara: Lost in Europe, progetto di giornalismo investigativo cross- border, nasce in Olanda nel 2017 ad opera di Geesje van Haren e Sanne Terlingen. Sanne era una giornalista di una radio di punta che si chiama Argos per la quale conduceva un programma radiofonico podcast di altissimo livello investigativo, adesso lavora a tempo pieno per Lost in Europe. Geesje ha invece ha messo su un media e una scuola di giornalismo investigativo. Cominciano loro con un giornalista somalo inglese Ismail Einashe a partire da una denuncia fatta dall’allora capo di Europol, in cui si affermava che ci sono 10.000 minori che arrivano in Europa e spariscono dai radar , un numero enorme. La sua denuncia proseguiva con il fatto che era preoccupante per la vulnerabilità di questi soggetti che potevano essere sottoposti a sfruttamento di tipo lavorativo e sessuale, senza contare il sempre temuto ma mai scoperto contrabbando di organi, comunque bambini spariti di cui nessuno davvero si preoccupava effettivamente e nessuno stato ha reagito. Poi c’era l’altro paradosso: questi bambini (bambini e ragazzini soprattutto adolescenti fra i 15 e i 18 anni ma spesso partono anche i più piccoli anche bambini fra gli 11 e i 14 anni) che si fanno viaggi di anni correndo rischi e subendo violenze durante tutto il tragitto, una volta arrivati in Europa si penserebbe che siano in salvo perché si trovano nel continente dei diritti dove tutti i paesi hanno firmato la convenzione per i diritti del fanciullo. Invece escono o scappano o vengono fatti scappare dai centri di accoglienza, però non interessa agli stati che in teoria dovrebbero farsene carico. Questo è l’inizio del progetto e da lì, noi entriamo nel 2018 perché naturalmente prima inizia l’indagine in Olanda sul traffico di minori vietnamiti maschi e femmine che venivano portati nel Regno Unito (e non solo: attraverso la Germania raggiungono altri paesi). Ci contattano per chiederci prima di tutto di questo tipo di traffico, che non avevamo in Italia ma entriamo nel progetto per raccontare come i ragazzi che entrano in Italia poi scappano. Resta comunque il fatto che l’Italia è uno dei primi paesi di accoglienza e anche quello da cui spariscono .
PO : Raccontate esperienze di vita sempre drammaticamente in bilico per aree geografiche di migrazione, attraverso dati raccolti sul campo correlati a statistiche e grafici. Si tratta di vite fatte di fughe e clandestinità, accoglienza e respingimenti, di confini fisici e culturali…quali sono le difficoltà incontrate nelle ricerche di questo genere?
CF :Le difficoltà sono di vario tipo, sia per quanto riguarda i dati perché non è sempre facile reperirli, come spieghiamo nel primo capitolo del nostro libro, sia perché alcuni tra i paesi a cui abbiamo fatto richiesta non ci hanno risposto. Quando abbiamo cominciato a indagare sulle sparizioni abbiamo fatto richiesta a 16 paesi europei e fra questi quelli che non ci hanno risposto ci sono paesi come la Francia la Danimarca l’Inghilterra, quindi questa è una prima difficoltà. Sì , teoricamente è una richiesta di accesso agli atti che viene regolamentata ma di fatto gli stati possono replicare di non avere questi dati o di ritenere troppo difficile o dispendioso reperirli o metterli insieme. Alcuni stati come la Danimarca candidamente dicono di non occuparsene perché tanto sono ragazzi che scappano e vanno dai loro parenti in Svezia. L’Italia è quella che in realtà ha una raccolta dati più accurata di tutti gli altri paesi e questo grazie a un lavoro sui minori. Tuttavia esiste un paradosso : l’Italia è inadempiente da tanti punti di vista negli ultimi anni, ma ha un lavoro su questo tipo di migrazione specifica fino dal 2011, fin dalle primavere arabe; ne consegue che possiede i dati raccolti in maniera abbastanza accurata , nonostante ci siano anche in quel caso misure di grandezza diverse : da una parte c’è la percentuale ma dall’altra non c’è il numero esatto e viceversa. Per quanto riguarda invece le aree si incontrano difficoltà nel senso che è difficile parlare direttamente con i minori, perché naturalmente le associazioni che se ne prendono cura li devono proteggere anche dai media e quindi bisogna andare spesso in quei luoghi letteralmente di frontiera un po’ più informali. Mi riferisco ad esempio alla stazione Tiburtina a Roma, al rifugio a Besançon nelle Alpi Giulie dall’altra parte del confine francese, al Kosovo da cui partono molti ragazzi. Anche per questo abbiamo partecipato ad alcuni bandi europei per il giornalismo investigativo cross -border che ci ha permesso appunto di andare in questi posti supportati da uun fondo europeo, nel nostro caso belga che si chiama “Investigative Journalism Fund”. Allora l’ impasse maggiore è rappresentato appunto dalla difficoltà di arrivare ai minori, quindi andarli a cercare nei posti più impervi.
PO : Avete riscontrato anche ignoranza e etnocentrismo, pregiudizi e stigma, nemici “immateriali” ma ben presenti e pericolosi a confondere le acque. Il successo del percorso di accoglienza e integrazione riguarda l’intera società: quali sono le responsabilità maggiori che individuate?
CF : A partire proprio da quanto dicevo nella precedente domanda, cioè il fatto che questi minori spariscano a migliaia letteralmente e che nessuno se ne preoccupi, questo indica chiaramente che per l’Europa sono minori di serie B per razzismo o per difficoltà a prendersi cura di persone provenienti da altri paesi anche di minore età. Un’altra situazione in cui lo stigma che abbiamo riscontrato, chiamiamolo etnocentrismo e colonialismo, risulta essere quello che coinvolge le donne vittime di tratta. In Italia spesso purtroppo una volta incinte o con dei bambini piccoli rischiano tantissimo di perdere i figli, a causa di servizi sociali che non capiscono la maternità africana e la giudicano con occhi occidentali. Questa è una forma di razzismo e alcuni antropologi la definiscono una “ingegneria sociale”, vale a dire l’idea che un bambino che cresce in una famiglia europea e ricca sicuramente starà meglio; questo bambino cambia status sociale e nazionale e culturale, perché appunto diventa italiano, ed è una cosa molto pericolosa e soprattutto molto presente in Italia. Anche in questo caso la notizia è stata molto interessante, perché ci è arrivata dalle colleghe olandesi, che riferivano di donne africane che una volta arrivate in Olanda raccontavano che in Italia portavano via i bambini. C’è voluto tanto tempo per scoprire che questa notizia qui era un tabù ed è tuttora un tabù, alla fine siamo riuscite a pubblicarla con il quotidiano ‘Domani’ ed è stato molto difficile, dal momento che le stesse associazioni hanno paura a parlarne per il timore di inimicarsi i tribunali dei minori. Abbiamo scoperto che questi tribunali hanno un potere enorme, perché hanno un diritto alla difesa estremamente più complicato e anche per far uscire questa storia non è stato affatto facile. Abbiamo riscontrato che è un fenomeno diffusissimo, parlandone con qualsiasi mediatore o mediatrice nigeriana tutti diranno quanti ne abbiano visti portare via, perché la mamma gli faceva le treccine in maniera troppo stretta e la bambina urlava oppure perché gli dava il cibo con la mano o perché hanno una modalità di rapportarsi con i bambini totalmente diversa dai nostri parametri in Occidente. Da noi il bambino è totalmente al centro del mondo e il nostro sguardo, come il nostro corpo e la nostra attenzione, è tutta proteso verso il bambino mentre ovviamente in Africa o in altre culture non è così e lo sguardo della madre è molto più distante. Insomma tutte queste piccole cose vengono giudicate con occhiali occidentali, quindi questo etnocentrismo crea dei disastri visto che questa “ingegneria sociale” non può sempre funzionare. Non è un caso che l’Italia sia stata condannata dalla Corte di Giustizia europea per alcuni casi di questo tipo. In particolare abbiamo seguito quello di una madre, recatasi all’ospedale con la seconda bambina, che aveva dei problemi e che è stata messa in terapia intensiva, non capiva cosa stesse succedendo ed è andata in escandescenze. All’ospedale non c’erano mediatori , già gli ospedali sono posti assurdi per noi italiani possiamo immaginare cosa diventino per un africano che vede il proprio bambino intubato, così è cominciato il calvario e la denuncia alla procura minorile. Hanno tolto alla donna le sue due bambine che hanno sistemato in due famiglie italiane diverse e dunque ulteriormente hanno rotto l’unità famigliare, due famiglie senza possibilità di contatto con la madre come se fosse già un’adozione. Dopo anni di lotte, perché queste donne naturalmente continuano a lottare ( anche se fra loro ci sono anche quelle che non ce la fanno più a lottare e smettono di farlo), sono riusciti a ricorrere in cassazione e ad avere un giudizio che imponeva un tipo di adozione mite, in base alla quale le bambine sarebbero rimaste in queste famiglie ma si riprendevano i contatti con la madre biologica. Sicuramente questa è una delle vicende più dure che abbiamo seguito e che risultano conseguenza diretta dell’etnocentrismo.
PO : Tornando alle condizioni dei MSNA, dalle vostre ricerche risulta quanto l’approccio ai loro bisogni e desideri sia un dato importante se non fondamentale, ma che basti poco per rimanere disatteso…
CF : Assolutamente sì. In Italia abbiamo una legge la legge Zampa, la 47 del 2017, che è una legge molto avanzata e che teoricamente dovrebbe tenere conto dell’individualità di ogni minore quindi anche dei loro bisogni e dei loro desideri. Purtroppo però le ondate migratorie che aumentano e i fondi destinati che invece decrescono, guardiamo cosa sta succedendo adesso che hanno tolto metà dei fondi destinati ai comuni per i minori stranieri , ecco questa situazione non aiuta certo. Non so cosa succederà ora, che si torna ancora di più indietro. Purtroppo ci sono tanti posti sovraffollati, in cui c’è una standardizzazione del trattamento e questo a dei ragazzi in crescita non li valorizza, non li fa crescere e anzi spesso li fa confliggere con il sistema di cui entrano a far parte. Inoltre l’Italia è fatta a macchia di leopardo e per esempio trovi un ragazzo che è in un centro a Crotone, improvvisamente chiuso, e lo salutano così il ragazzo minorenne rimane per strada senza che nessuno lo consideri ; lui autonomamente se ne va a Milano e si perde per strada, poi viene ritrovato solo grazie a un’incredibile volontà. Oppure esiste la triste realtà dei minori che non vengono creduti alle frontiere riguardo all’età che dichiarano. Allo stato attuale delle cose secondo me sarà ancora peggio, quando vengono considerati come adulti. L’ultimo decreto, il Cutro2, prevede che i minori di 16 anni possono essere messi insieme agli adulti! La promiscuità è una delle situazioni che non dovrebbero mai verificarsi per quanto riguarda l’accoglienza dei minori, a meno che non sia nell’interesse superiore del minore o che non ci siano dei familiari o degli adulti di riferimento con cui il minorenne ha bisogno di stare. In caso contrario, tutto questo risulterà standardizzato sia per le situazioni di violenza che di possibile sfruttamento. Non bisogna dimenticare che sotto i 18 anni, o almeno questo è considerato il limite, c’è una maggiore vulnerabilità della persona. Comunque è già stato standardizzato con il decreto dello scorso ottobre e dunque ancora di più i sogni e i desideri vengono purtroppo disattesi.
PO : Lost in Europe è giornalismo investigativo cross-border, rilevante per portare a galla questa realtà. Parallelamente, si può auspicare un incontro di forze a livello locale e europeo per risolvere le problematiche del fenomeno dei minori non accompagnati?
CF : Sì, sarebbe assolutamente auspicabile che ci fosse un incontro di forze, ma anche qui purtroppo ci sono corsi e ricorsi. Al momento la tendenza europea, come la leggiamo nel patto per l’emigrazione firmato in questi giorni, è di chiusura e dunque si stanno drammaticamente riducendo i diritti per i richiedenti asilo. Esiste in realtà una convenzione ONU ratificata da tutti i paesi, eppure si sta per permettere la detenzione anche di minori migranti, se ne permetterà addirittura la detenzione in paesi terzi . Diciamo che sarebbe auspicabile, dal momento che non solo l’Italia ma tutta l’Europa sta invecchiando. Anche molto cinicamente forze giovani, cervelli giovani, ragazzi che hanno lottato tantissimo per la propria sopravvivenza, quindi dimostrando volontà e intelligenza, sarebbero una risorsa incredibile per questo vecchio continente. Di fatto e purtroppo la tendenza è ideologica per la paura di una perdita di identità culturale e per il timore del melting pot, ma anche sicuramente per la fatica di dover lavorare sulle persone in maniera individuale. Lo Stato stesso riesce solo a vedere situazioni standardizzate, mantenute tali con tenacia. La politica migratoria è nazionale, ma ha un quadro europeo e dovrebbe essere raccordata anche per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati. Sfortunatamente noi nel nostro lavoro abbiamo potuto riscontrare che assolutamente non lo è.
Cecilia Ferrara è freelance, autrice tv e producer. Segue la politica, il sociale e la cronaca di Roma, è producer per Al Jazeera e altre tv straniere (France 2, TF1, Pbs), ha lavorato per La7 e Sky Arte come autrice, ha contribuito a fondare Irpi (Investigative reporting project Italy), ora collabora con Ansa. Fa parte di Lost in Europe dal 2018 e del collettivo Sveja, la rassegna stampa di Roma.
Angela Gennaro è giornalista, podcaster e videomaker. Lavora con l'agenzia di stampa Ansa e con diverse altre testate. Già videomaker per ilfattoquotidiano.it e photo editor per The Associated Press Italia, è direttrice responsabile di Frisson Magazine, testata indipendente femminista, e vice direttrice di Radio Bullets. Fa parte di Lost in Europe dal 2019 e del collettivo Sveja, la rassegna stampa di Roma.