GIORDANO OCCHINI
Poesie Inedite
NOTA CRITICA DI SIMONE TURCO
Quando, circa tre anni fa, incontrai per la prima volta la poesia di Giordano Occhini, ne fui subito colpito. Mi fu immediatamente chiara la necessità di fare in modo che parte del suo lavoro vedesse la luce in una collocazione degna, e ciò per vari motivi. Uno – l’unico di cui si può parlare in questa sede – ha a che fare con l’originale impostazione del suo verso poetico.
Aspetto noto e spesso controverso della poesia postmoderna è la tendenza alla frammentazione grafico-sintattica, come se ciò dovesse simboleggiare una ormai dichiarata frammentazione del pensiero; il quale, in qualche modo poi ricostruito, non può che mostrare la lacerazione e lo scarto, anche linguistici, rispetto allo stile premodernista. Ciò è molto meno apparente nelle invenzioni del contemporaneissimo Occhini, in cui l’espressione scritta risulta quasi calco del pensiero poetico soggiacente, del suo farsi nella mente del cantore, senza che siano evidenti una decostruzione e dunque una ricostruzione volutamente frammentata. A tale effetto contribuisce la forte coesione logico-sintattica, il cui punto focale, specialmente nella composizione più lunga e complessa (Oltre madre, che apre la serie), è costituito dal verbo, con una minima presenza di frasi nominali o di elementi del discorso decontestualizzati o privati di una cornice verbale. La centralità del verbo, parola per eccellenza e per questo motivo termine altamente strutturato e relazionato, rende ogni rigo un blocco semanticamente denso; ogni verso pare completo in se stesso, e ogni verso è portatore di un significato proprio che va trovato di per sé, disgiuntamente dal resto, anche prima che ci si volga all’insieme per cercare, in ciascuna lassa, un significato generale. Tale coesione resiste anche nelle composizioni più brevi e brevissime, formate da potenti metafore che si estendono a costituire la totalità del testo (Pane), in cui si notano un uso originalissimo delle sinestesie (Fiaccola dono, Oro) e, almeno una volta, una sorta di aggettivazione dei sostantivi (il sintagma gelo inverno, anche interpretabile come composto, in Carnevale), che denota una rara abilità nell’elaborazione quasi “fotografica” della lingua, sfruttandone al massimo le proprietà immaginifiche.
L’auspicio è che l’uscita di questi inediti tracci un solco nel quale, in futuro, possa ricadere la pubblicazione di altri componimenti; e forse anche la riproposizione e maggiore diffusione dell’unica opera finora pubblicata da Giordano Occhini, Igniti Iussanti (Cagliari 2005), la cui complessità in termini di ricerca ed espressione esistenziale, anzi, di “dis-corso dell’esistere”, meriterebbe uno studio dedicato e comparato, in un orizzonte di superamento definitivo del postmoderno.
Oltre madre
Ti rividi per strada Ammanettato già in vita
dopo un po' di tempo dall'altrui attenzione
fu luce di te e di quel dolore e giudicato ancora
che oggi ti aveva senza minima indispensabilità
rifigurato in viso
Solo quello strazio, che viola
Già resa segno da quella tua vita che era quel filo
reattiva a furor t'affannava indomita l'imbiancato cinismo
con cui molti lì erano
Quel dolore che passando vela
ti apparteneva e mi ricordasti Sì, gente, gente inutile
l'imprigionarsi che ti fissava
tra le mie palpebre di senza il giusto capir profondo
quella disperazione che ti guarniva di chi ci lasciava
Quando vestito, l'ultimo fu tuo Smarriti a tanto pianto
in quella sala dal lungo banco d'acciaio che non rinsana
non guarisce tanto pianto
Disteso su metallo freddo...
sì anche dopo c'era quel freddo, Quel suo non trasmessoci
freddo ardente come quella camera ci percuoteva e ci zittava
dell'ultimo poi, prossima quando
esalata la vita si è deposti... S' avvertiva lo scalfire
...e si è deposti incorniciati di qualcosa di viscerale
luce giorno... mare sale
E custoditi, intorno e sotto madre figlio...madre...figlio
da quel legno finale ove ora
era lui e tu lì, e anch'io Tu oltre madre, donna
un deserto piastrellato di lutto che si apre e si richiude
e guarda contratta, serrata
Fui così riassordato e poi solo riso isterico
dai tuoi impeti divelti,
che resi prepotenti ti sollevavano Ti si è negato
e spingendoti uscivano da te, non più presente ormai
divenendo urli, solo sofferto pezzo di te
che esplodevano a cupola su noi
Ma quei serpenti dentro
E lì avrei voluto esserti, t'abbracciai, non si spegneranno mai.
ma non abbastanza credo
Tu così, di segni composta,
Poi vidi...quell'uomo composto hai questo pensiero
che nel pianto rinunciava che non gratifica,
al suo solito allegro silenzio ma che per un momento
perché vedeva svanito ti assomiglia...
un occhio, il più caro
a Lucia Colozza
Torre Velasca
Caffè, Vento,
Tavolino
Con sotto
un piccione
che in sé
ha la verità
di un piccolo
Fiaccola dono
Non so se auspicio o parto
ma mi trovo ardente,
come quegli argini schiavi,
contorni del mio colar lava,
poi vedo, “in odore” di vetro, una trasparenza.
Sì, è l’insinuarsi in questo scorrere
di una fiaccola che è dono, ed io felice
al sapermene combustibile, con la mia lava
che le diventa gusto amato al palato,
in speranza che lo scriverne avrà pregio o
sussiego di ragione…
Carnevale
Convulso
dalla seta della notte
e dal suo vento
E gelo inverno
E l’inettitudine
di una maschera
che col riso
non mente
al pianto.
Oro
Così avvampata di quell’arte
che ti ha costretta ai suoi Voti
...Oro reale… sogno…
che ti sovverte nel capirlo
Friabile il tuo riso
pelle della solarità
che inconsapevole scuote
le più palpitanti visceralità
Soggusti sino al loro fondale
quelle sfumature vibranti
di ogni sorsata del vivere
col pieno esisterne vero
Poi lessi e risoffrii un vissuto
arroventato e marchiante
...un verso… lacerante
messo su di un vassoio
che mi vivesti inumidito
tu commosso fuoco
non amarezza, carezza…
lacrime ed ho appreso!
Tu, su questo cielo,
che si tiene, costretto,
a farsi calpestare
anche dai peggiori
Impalpabile, come l’odore
di una domenica di festa,
tu che sei Oro e soave
n’estrai dalle persone
Dopo, come la bella aria
ti fermi… colpisci… e poi
non ci sei, ma il respiro migliore
all’ultimo rimane, c’è...
Ramo Notturno
Ramo notturno
su fondale scuro
Hai subito
il testimoniare
Tu fintamente distratto
di decenni
di inutili vissuti
E che di me
hai visto
il concepirmi e l’invecchiare
Dietro di te
piccoli asterischi luminescenti
E Lei
così piena e tonda
È sera
È sera
ed è
di riposo l’odore
Chini
Chini come
mandrie al mercato
e noi… afoni
attoniti all’indissolubile
Pane
Sfornando
Pane
di notte
Sconvolto
Da quella
Vita
come fragranza
Giordano Occhini (Arezzo 1979), primo di tre fratelli, nasce da padre ferroviere e da madre viaggiatrice, potendo cosi, fin dal suo concepimento e almeno sino ai vent’anni, vivere per brevi periodi in tutt’Europa. Al 2005 risale la prima e unica silloge pubblicata, dal titolo Igniti Iussanti (Cagliari 2005). La sua attività poetica è proseguita nei decenni successivi, con la composizione di innumerevoli scritti inediti.