MANUELA MORI
Manuela Mori, Chiaroscuro, Edizioni ETS, 2024
Furiosamente brami d’essere
nel mondo. Allora, almeno guardalo.
Ai margini ce n’è di così fragile,
da far pensare a un riccio capovolto.
L’avrai incontrato a volte sul sentiero,
con le zampette all’aria, il ventre esposto
ai fulmini del cielo,
confitto al suolo dai suoi stessi aculei.
È quasi oscena tanta infermità.
Se avesse voce, ah se l’avesse!
Sarebbe voce che ama la vita,
l’ama e non ce la fa,
senza una mano mossa da pietà.
In queste città non camminano uomini
ma bende, che avvolgono il vuoto.
Dietro ogni vetro s’indovina il disagio,
lumi s’accendono e muoiono,
come certi addii mai stati arrivi.
In queste città non servono mani
per costruire futuri ma unghie
per scavare rifugi, lustrare armi.
Ci sarà un posto almeno
dove hanno pace i morti?
Ovunque agguati di scarponi osceni,
ovunque i pachidermi ottusi
del martoriato mondo di Amelia.
Scomparsa dall’uomo la bellezza,
scomparso, accanto al lui invadente,
il tu in attesa di un dialogo pacato.
(a Francesco)
M’indicavi il sole mentre tramontava,
lo raccontavi sempre alla tua maniera,
come un’arancia che rotola
per una strada in discesa.
“perché ciò che davvero è alto”
dicevi “sta dappertutto”.
* * *
Non avrai altro che la semina.
Per i chicchi che hai scelto,
sarà poca la pioggia, non ci sarà lo sfarzo.
Quanto ego dovrai abbandonare.
Quanto duro sarà l’andare.
Rotolerai, come arancia per strada,
perché rotolare è perdersi e perdersi
la sola scorciatoia per la tua mèta,
dove il combattimento è la vittoria.
Se della vita hai amore
e senti voglia di ringraziare,
non cercare litanìe ripetute
ma tocca piano e lieve posa il piede,
sopra ogni ala in cielo e pinna in mare,
sopra ogni filo d’erba, e fiore, e seme.
Sapessi quanto è bello e quanto è bene
allontanarsi a volte dalle rive,
lasciar solo la pelle
a quelle terre stolte mai satolle
di capri espiatori.
Sapessi com'è facile a distanza
filtrare dalla luce la sua luce bianca,
la ferita della vita che fiotta
negli occhi di un cane mentre muore ucciso
mentre perdona tutti, mentre perdona dio.
Di quel che passa intorno e vive dentro,
ciò che resta nel mio libro non è tutto.
Gli spazi bianchi sono il tempo fermo,
che non ha colori, sono i vuoti disumani
nei sentimenti.
Non è tutto e non tutto è vero.
Appresi l’arte di vergare il sogno.
Ciò che cesella la mia parola
è anche immaginario.
O forse esiste in questa un’altra vita
già vissuta, che sempre torna indietro.
Ora sai cose, sai rose, sai
un nuovo nome.
Ma non ti accordi ancora
Al dunque, daccapo, sei sola.
Tu della strada non accompagni il passo,
il suono tuo è sempre
più indietro, o più avanti.
Un viale avevi, tutto di viole
e mani d’edera, per rampicare,
l’anima libera, le solitudini dell’aquila.
E c’era sempre nel tuo giorno quel minuto
che ricompone il mondo dentro un bacio, un saluto.
Guarda ora, com’è lontano il cielo
guardato da un mirino,
sempre sotto tiro: preda o predatore.
Franta l’ora in cocci minuti.
Perso l’ago che ricuciva.
Guarda, come sbiadisci,
spunti la lingua, sparisci,
questo laido consorzio accettando.
Manuela Mori, laureata in Lettere con Walter Siti, vive tra Milano e Cecina Mare in provincia di Livorno
Ha pubblicato le raccolte di poesia La matrice della terra (Sigismundus, 2016), Siamo corpi da abbracciare (Nuova Palomar, 2020), Chiaroscuro (Ed. ETS, 2024).
Suoi testi sono comparsi su la pagina dedicata alla Poesia di Repubblica, scelti da Maurizio Cucchi, Serena Di Lecce e Eugenio Lucrezi e su vari blog fra cui Suite italiana di Ilaria Palomba (corredati da una nota di lettura di Antonio Veneziani) e recentemente sul blog L'Astero Rosso di Isabella Bignozzi.
SELENE PASCASI
Selene Pascasi, Un tempo minimo, Eretica edizioni, 2024
ACCADRÀ L’AMORE
Pelle orfana d’alba
prego ancora le stelle
mentre il battito tace.
Deformo le ombre.
Dalle ciglia inquiete
cola vernice incolore
librando petali viola.
Mortifico l’istinto.
L’orrore cieco
urla al sangue
ma accadrà l’amore
a schiudere ali dai lividi.
Ti serbo fra le dita.
ALCHIMIE
Orme soffici di ricordi
avvolgono il panno caldo
dell’umore consunto.
Alchimie dissolte cadono.
Nebbie stinte dai fumi
giurano ardue la fortuna
di veglie esortate.
Scelgo la notte.
Precipito.
ANDARE
Andare non è perdersi
è solo chiudere gli occhi
nascondersi nel tempo
chiedere voce alla luna
restare muti fra i battiti.
Il ponte non divide.
Ti trovo ancora, giuro
e ancora ti respiro
come quando eravamo
ombra e luce silenti
dietro la curva del noi.
Paziente mi attendi.
ANGELI
Costruire l’eterno
è gesto antico di millenni
sapiente frangia di fede
incisa tra rughe empiree.
Ecco.
Attendo il tuo nome
iniettarsi ancora nel mio
svelare misteri agli angeli.
L’immenso parla all’amore.
BUSSOLA
L’infinito ha smarrito
la bussola del tormento.
Ma se mi sfiori appena
si rinnova il pegno della terra.
Piangeranno stupore
anche le primavere.
Sai, l’amore è fatto di attimi
che vivono migliaia d’anni
solo per svanirti addosso.
Profughi del risveglio
giochiamo a carte la vita
CATTEDRALE
Scorgo un bagliore usato
nelle mie estati velate.
Cade come musica
sui lampi della cattedrale.
Un pensiero tentato
suggerisce il senso
mentre l’aria mi reclama.
Ceralacca iridata
sugella patti divini
restituisce spettri
intrisi d’incenso.
L’affanno delle salme
scrive finali inattesi.
Il brivido riposa.
DAL NULLA A DIO
Dal nulla a Dio.
Dal soffio al nitore.
Tutto è palpito.
- ingoio la fine
La trasparenza di pelle
cede il passo al corpo
mentre il ritmo dei seni
trama inediti percorsi
sul viale delle orchidee.
Dalla brezza a Te.
Dall’ansimo al riposo.
Tutto è grazia.
- onoro la genesi
Concedimi il pegno.
GARZE
Adesso
che l’urgenza del sogno
dorme cullata dal gelo
soffiando via illusioni
fino alla deriva del dolore
adesso
che la sorte già mi cura
con garze di eufonia
adesso
posso attendere le spine
piovermi dentro.
Di nuovo i tuoi occhi.
QUADRI MUTEVOLI
Si traspone il respiro
dal petto al collo
si sofferma appena
nell’incavo riflesso
che ospita la bocca.
Sul mio volto riposa
la luce dei secoli.
Ci siete tutti, ancora.
Usate la mia pelle
per consacrare la vita.
Quadri mutevoli
ci attendiamo le ossa.
VITE
Passiamo vite
ad attendere vite.
E moriamo, poi
dimenticando l’età.
Ripetere la nascita
è debito d’umanità.
Selene Pascasi, avvocato per un ventennio e ora funzionario, è giornalista, firma de Il Sole 24 Ore, critico musicale, pubblica le sillogi Con tre quarti di cuore (Galassia Arte, 2013), Come piuma sulla neve (Ursini, 2018), Senza me (Eretica, 2021), A un ricordo da te (Scrivere Poesia, 2022), Un tempo minimo (Eretica, 2024), gli aforismari In attesa di me (Rapsodia, 2015) e Amare non è un verbo (Scrivere Poesia, 2023), il romanzo Attese verticali (Libero Marzetto, 2021) e Dimmi che esisto (La Gru 2018, riedito Chiocciola 2024). Partecipa ai progetti solidali Negli occhi bambini, Cinque Natali e Mai più (Scrivere Poesia per Save the Children) e Cuori a Kabul (Graphe.it per Emergency). Per le decine di Premi nazionali e internazionali vinti, riceve l’accredito di Wikipoesia per enciclopedicità della sua voce poetica.